
Giorno 1
…potevo anche non mettere la sveglia, ho già gli occhi aperti e mancano ancora una decina di minuti alle 4.00. E mentre una buona parte di Genova ancora sogna, qualcuno si è già mosso e sta percorrendo la direttrice Levante-Valpolcevera raccogliendo ogni tanto uno sbadigliante pellegrino. Così, fra lampioni sfavillanti di moscerini e qualche faro randagio di automobile, inizia questo fantastico viaggio. Due mezzi, un pulmino charter ed una macchina, sono destinati ad incontrarsi nei pressi del casello autostradale di Bolzaneto e la seconda cederà il passo al primo dove sette galvanizzati individui ed il loro amico auriga (il grande Isaia), caricati i bagagli, si assestano sui sedili pronti a dare il via a musica e ironia a mille! Destinazione: Aeroporto Malpensa.
I chilometri scorrono e il sole fa capolino sulla pianura lombarda; raggiungiamo la Tangenziale Est che comincia a ruggire ma ancora ci lascia spazio sufficiente per una rotta a velocità costante. Piccola sosta per caffè e senza intoppi arriviamo al Terminal, una bella raddrizzata alla colonna vertebrale, sgranchimenti vari e via verso il check-in, con due ore che ci separano da due decolli, quello fisico (dell’aereo) e quello spirituale (nostro) verso l’impresa del NEARFest. Per qualcuno di noi è il primo viaggio oltreoceano, ma l’eccitazione è comunque tutta catalizzata da quello che ci aspetta laggiù: semplicemente l’evento più prestigioso nel mondo del Progressive Rock, protagonisti al pari di nomi come Magma, Hawkwind, Pure Reason Revolution…
Otto ore e mezzo di volo scorrono tutto sommato in modo sopportabile, fra bibite, film, letture varie, lettori mp3, pisolini e pranzo. Il Boeing 767 ci deposita morbidamente sulla pista del Philadelphia International Airport; rapide formalità di confine e tutti fuori a respirare l’aria statunitense… in pratica scarichi di trucks, auto, cabs, pulmini navetta, schoolbus e via dicendo che passano di fronte al marciapiede dove stiamo aspettando “il nostro contatto” (!). Qualcuno di noi scopre che il proprio cellulare potrà servire al massimo da sveglia essendo impossibile ricevere rete, quelli a cui invece funziona cominciano un dialogo botta-e-risposta con Ray, l’autista incaricato di accompagnarci alla destinazione finale: Bethlehem, PA. Fra qualche incomprensione e i problemi della viabilità circostante l’aereoporto, passa un oretta prima che Ray ci individui, ma una volta fatto è simpatia a prima vista. Ray è un tipo forte, come forti si riveleranno tutti i collaboratori del festival, disponibili fino all’ultima necessità per renderci il soggiorno il più facile e comodo possibile.
In un paio d’ore, succhiandosi discrete code stradali, arriviamo all’hotel. Fra chi si spara la prima doccia made in USA, chi si gode uno zapping sulla TV in camera, chi sistema la propria roba e si fa una strimpellatina stile country, si arriva giusto all’ora di cena. Alle 7 p.m. (ma sì, usiamo il loro modo…) ci sarebbe l’inizio della serata preliminare al Festival, il Fusion Friday, starring One Shot, Secret Oyster e Allan Holdsworth, ma i vari ritardi ci hanno messo di fronte ad una secca alternativa: pub o teatro? Il festante chiasso che proviene dalla terrazza di un locale vicino all’albergo, le insegne luminose delle birre e una domanda molto chiara di qualcuno (“..Hey guys…NearFest you too?” “Yeah, sure!..”) sciolgono in un attimo, se mai ce ne sono state, le perplessità. E in un tipico locale, fra bistecche, hamburgers, insalate, caraffe di birra e musica di vario genere (si, ci siamo sbizzarriti col jukebox digitale.. Stevie Nicks, Metallica, Lynyrd Skynyrd, Peter Gabriel and so on...) si celebra il battesimo culinario negli Stati Uniti.
Qualcuno è troppo stanco e indulge al sonno, altri prendono la strada verso lo Zoellner Arts Center della Lehigh University, sede del Festival. Conosciamo così Kevin (production manager), Paul (guitar/bass technician), Dennis (keyboard technician), Noreen (l’addetta al backstage) e Chad (co-fondatore e coordinatore della manifestazione); al pari di Ray tutti, contenti di conoscerci, ci sfoderano la più sorridente disponibilità per ogni evenienza. Così giriamo lo scenario delle prossime battaglie, ci godiamo la parte finale dei Secrtet Oyster e la parte iniziale di Allan Holdswort e, giusto per non oziare fra l’una e l’altra, un paio di birre e stringiamo amicizia con un certo Paul Whitehead (…già, proprio lui!).
Giorno 2
Il giorno successivo scorre in maniera normale, fra chi tenta (senza risultato, ahimè) di programmarsi una puntatina veloce a Philadelphia o di fare un po’ di shopping (alla fine amici, parenti e altro rimarranno pure senza cartoline…) e chi intende dirigersi verso il luogo del raduno; alla fine tutta la band decide di puntare verso il teatro dove stazioniamo fino all’ora di pranzo, dopo la quale lieve riposino e di nuovo in teatro per aprire il banco del merchandising… giusto in tempo per l’inizio dello show dei Magenta, preludio all’esibizione degli headliners della giornata, gli storici Hawkwind.
Già dalle prime note rimaniamo colpiti dall’acustica della sala e dal formidabile lavoro dei tecnici che rendono il suono poderoso e avvolgente e tuttavia pulito e conducono le luci a formare vesti suggestive alle melodie che scorrono (sempre in misura inferiore alle birre, ehm….). Fra l’altro si sparge la notizia che il nostro amico americano Leonardo Pavkovic ha in serbo una chicca, che sarà destinata a procurarmi forti accelerazioni cardiache da trepidazione…vuole presentarci due suoi cari amici presenti al Festival: tali Gary Green e Malcolm Mortimer, rispettivamente storico chitarrista e primo batterista dei GENTLE GIANT!!!!
Mentre Andrea decide di rimanere per gli Hawkwind, gli altri vanno in cerca di cibo e ritornano all’hotel dove ogni sera avviene un ritrovo (che l’indomani assumerà il carattere di un vero e proprio party) fra tutti i “Nearfestini”, staff, organizzatori, bands, amici e collaboratori vari… ed è appunto in questa sera di sabato che avviene l’incontro: Gary Green è davanti a me e alla prima stretta di mano è armonia assoluta, nonché tachicardia del sottoscritto. Gary è una persona straordinaria, con tutti i componenti del gruppo per le numerose occasioni di dialogo da lì in avanti si rivelerà giocoso, disponibile e generoso (offre da bere a chi di noi si fa beccare lì pronto…). Poco dopo si aggiunge Malcolm Mortimer, più riservato ma comunque gradevole.
In base ad un plebiscito interno alla band (non si sa bene avvenuto come) il sottoscritto viene catapultato al banco della Radio Gagliarchives (l’emittente che ci ha visto all’inizio di quest’anno al primo posto della loro classifica degli ascolti per ben 12 settimane consecutive!!) dove l’entusiasta conduttore del programma in diretta svolge la sua piccola intervista prima di programmare “Orpheus”.
Giorno 3
Qualche ora di sonno (poche!...) e ci troviamo nel gran giorno. Il pulmino ci trasporta al teatro dove prendiamo posto nei camerini in attesa del soundcheck, che inizia alle 12 a.m. in punto. E già nel backstage la postazione di Agostino provoca lo stesso effetto della Gioconda nel Louvre. Visi incantati a rimirare Mellotron 400SM, Hammond B3, Moog Voyager e altre chicche analogiche… in pratica saremo l’unico gruppo ad utilizzare apparecchiature vintage, molti fra il pubblico hanno nasato o sapevano questa cosa e si mettono il tovagliolo al collo come di fronte ad una tavola imbandita, pronti all’abbuffata. Qualche problemino al mixer tastiere provoca una decina di minuti di ritardo ma l’organizzazione è più efficace di un’equipe medica, il soundcheck scorre veloce e tutti giù nei camerini per trucco, vestiti e urlacci propiziatori.
Le ultime note dei Carmina Burana preludono all’inizio della scaletta. “Doppia immagine” fa il suo ingresso, potente e incisiva, scalda anime e muscoli; fino al brano successivo, “Nuova Luce”, il pubblico vuole farsi conquistare e concede solo sonori applausi, ma alla fine di “Orpheus” scoppia letteralmente. Da qui in poi è un incessante trionfo: “Un senso all’impossibile”, “La consunzione” (includine una rockettarissima presentazione ritmata della band…), “Schema” ed “Enciclica 1168/La Maschera di Cera (closing section)” sono come scosse telluriche in progressione e sui saluti registriamo ben tre minuti di standing ovation che TUTTA la platea ci tributa con generoso entusiasmo.
Giù di corsa ai camerini per una rapidissima rinfrescata e altrettanto di corsa verso la sala degli autografi, dove le bands hanno a disposizione un tavolo di fronte al quale scorrono i fans in cerca di firme o desiderosi di complimentarsi. E sono tanti. Non ci crediamo nemmeno noi. Tutti a idolatrare il sound italiano, cosa che ci rende orgogliosi delle nostre scelte stilistiche. Maurizio è riuscito persino a incontrare un suo compaesano che nonostante viva laggiù da una vita riesce anche a stentare qualche parola in dialetto abruzzese! E’ veramente entusiasmo generale!
Gira voce fra gli addetti ai lavori che molti ci considerano “la migliore band del Festival”. Nel pomeriggio, durante le pause fra un’esibizione e l’altra, diversi di noi girovagano nei corridoi, nelle sale merchandising e all’esterno del teatro e ad ogni pie’ sospinto è un unico e unanime commento. “Great Show! Great Show, guys!…” al punto tale che questa frase è divenuta il tormentone di tutto il viaggio, nonché – doverosamente – il titolo di questo resoconto.
Restiamo giusto il tempo per l’esibizione dei Magma (headliners dell’ultima serata) e via verso l’albergo dove si terrà un mega-party conclusivo della manifestazione. Qui ritroveremo tutti gli amici (Ray, Chad, Rob, Leonardo, Kevin, Gary, Malcolm, solo per citarne alcuni), birra a go-go e tanta voglia di sciorinare la casinosa effervescenza che ci portiamo ancora dentro; la quale si manifesta poi in una session fra vari musicisti in un’altra hall dell’albergo che vede prima Agostino e poi me alle prese con la chitarra nell’intento di spingere una moltitudine di cantori a intonare i classici del rock, dai Floyd ai Marillion, da Peter Gabriel a non mi ricordo più chi…. Fra qualche ora sarà tutto finito e sarà solo nostalgia, quindi tanto vale darci dentro, e darci dentro di brutto!!
Giorno 4
La mattina della partenza ci saluta con un cielo grigio e un po’ di pioggia. Cominciano i saluti, comincia il magone. Sul pulmino che ci riporta all’aereoporto di Philly non c’è più il clima dell’andata. E nel terminal, giusto il tempo per mangiare e cercare qualche souvenir da portare alle persone più care.
Arriviamo alla Malpensa alle 6.35 di mattina (non uso più l’a.m., siamo in Italia, no?:…) e Isaia è pronto per riportarci a casa. Fisicamente siamo lì. La testa sta decisamente da un’altra parte. La testa sta ancora controllando se la chitarra è accordata o se il timbro del moog è quello giusto, se la posizione dei toms è valida, se si sente il flauto nei monitors o se la distorsione del basso è eccessiva… il cuore ha bisogno di rivivere certi sapori perché chissà quando ricapiterà di avvertirli.
Questo è stato il NEARFest. Questa è stata l’avventura della Maschera Di Cera. A chi andrà in futuro senz’altro dico “assaporatene ogni secondo, perché ogni secondo ha un sapore particolare”.
Grazie a tutti coloro che hanno colorato quest’esperienza con le indelebili tinte della felicità.
Comunque sia, qualunque cosa porti nel futuro, è stato davvero un “GREAT SHOW!”
Alessandro Corvaglia
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